13/02/2010 - CARLO MONTU' 1869 |
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1 CARLO MONTU’ TRA C.O.N.I. E CANNONI Ricerca storica di ENRICO TONALI Era una domenica (il giorno degli sportivi) quel 10 gennaio 1869 nella Torino dei Savoia, con Vittorio Emanuele Il che scalpitava come i destrieri dei suoi Dragoni e sbuffava sotto il barbone sale e pepe per quell'Italia fatta da otto anni ma cui ancora mancava una Capitale. Anche in casa Montù - una famiglia originaria di Livorno Vercellese, un modesto centro industriale che diverrà poi Livorno Ferraris perché vi nacque l'illustre fisico Galileo Ferraris che pure in questa nostra piccola storia ha un ruolo importante - quel dì di festa ci fu molta agitazione, almeno finchè non venne al mondo il figlio tanto atteso da papà Ernesto, Carlo; la mamma era Ida Bosco. Ad entrambi i genitori il futuro uomo d'arme (l’Esercito Italiano era stato creato appena otto anni prima, il 4 maggio 1861) e di sport resterà sempre legato, tanto da dedicare poi loro uno dei più eleganti ed imponenti dei trofei del canottaggio italiano. A diciassette anni, l'1ottobre 1886, Carlo Montù entra nella Regia Accademia Militare di Torino che - fondata nel 1669 dal duca Carlo Emanuele di Savoia - fu il primo centro di istruzione militare al mondo. Aperta da Vittorio Emanuele I ai giovani cittadini di ogni estrazione sociale, l'Accademia sabauda era specializzata in artiglieria (nel 1928 assunse proprio il nome di Regia Accademia Militare di Artiglieria e Genio), la materia bellica in cui poi Carlo eccelse. Ed infatti il 7 marzo 1889 corona gli studi accademici con la nomina a sottotenente dell'Arma dei cannoni e viene assegnato prima alla Scuola di Applicazione Artiglieria e Genio di Torino e quindi, l'anno successivo, all'11° Reggimento Artiglieria di stanza ad Alessandria. Quell'ultimo scampolo del secolo XIX fu in Italia - dopo tanto sangue versato nelle guerre, rivoluzioni e spedizioni dell'800 - un periodo di tranquillità bellica. Contemporaneamente alla pace ci fu uno sviluppo industriale che notevolmente si avvantaggiò da una scoperta - quella del campo magnetico rotante, con l'invenzione del motore elettrico asincrono - che porta il nome di Galileo Ferraris, il concittadino del vecchio ceppo Montù. Ferraris - ingegnere ed assistente di fisica tecnica al Regio Museo Industriale di Torino, il futuro Politecnico - aveva sperimentato pubblicamente fin dal 1885 (a trentotto anni) il risultato dei suoi studi sul campo magnetico rotante ma dovette attendere fino al 1893 per avere riconosciuta internazionalmente - nel Convegno sull'Elettricità di Chicago - la paternità della scoperta che rivoluzionò il mondo dell'energia. Proprio in quel periodo - nel quale tra l'altro Torino dà i natali a due importanti istituzioni sportive, il Rowing Club Italiano (1888) poi Federazione Italiana Canottaggio, e la Fedérazione Internationale des Sociétés d'Aviron (1892) - Carlo Montù effettua alcune scelte decisive per il suo futuro. Nel 1891 sposa Letizia Calani e due anni più tardi chiede al Regio 2 Esercito di essere congedato, passando nei ruoli di ufficiale di complemento; quindi, forte anche degli studi compiuti in Accademia, si laurea a Torino in Ingegneria Elettrotecnica come uno degli ultimi allievi (ed assistenti, anzi in seguito Montù fu pure titolare della cattedra di Elettrotecnica a Napoli, dopo essere stato pure assistente del professor Penati a quella di Macchine Termiche al Regio Museo Industriale) di Galileo Ferrarsi, che - appena cinquantenne - moriva infatti, nella città sabauda, nel 1897. Quello stesso anno il ventottenne Carlo - dopo aver praticato il ciclismo agonistico in pista a Torino al Motovelodromo e sull'anello in legno del Ciclisti Club, ed appassionato pure di canottaggio e scherma - indossò la maglia dell'International Football Club Torino (fondato nel 1891 e presieduto da Luigi di Savoia duca degli Abruzzi), giocando accanto a pionieri del calcio come Edoardo Bosio ed Alfonso Ferrero di Ventimiglia (che nel 1899 fondò la FIAT insieme a Giovanni Agnelli). A proposito di Bosio, scorrendo le cronache di fine Ottocento, scopriamo che la prima squadra di calcio - il Torino Football and Cricket Club Torino nel 1887 dal torinese Edoardo Bosio (1864 - 1933?), impiegato in una ditta commerciale che aveva frequenti rapporti con l’Inghilterra, dove apprese a giocare; al suo rientro in Italia, convinse i suoi colleghi ad abbracciare e praticare il nuovo gioco (si dice che fu il primo a importare il pallone di cuoio). Bosio, appassionato sportivo e canottiere, divenne un personaggio di spicco della Società Canottieri Armida; di lui la «Gazzetta del Popolo della Domenica» del 14 giugno 1891 diceva: ”Il Signor Bosio Edoardo, terza voga, partecipò col Nicola alle regate di Venezia e Casale, vincendo nelle prime il 2° premio in canoa e il 1° in jola alle seconde. Nel 1888 a Torino, partecipò alle gare di canoa a quattro e a due, vincendo i primi premii. Partecipò alla gara della Coppa alle regate di campionato a Stresa. Ha 24 anni, pesa 72 chilogrammi, misura metri 1,81 d’altezza”. Bosio vinse, nel settembre del 1891, a Como i Campionati Italiani nella “canoa a due seniores” (Bosio, Cappellaro, tim. Vernette ); successivamente divenne direttore sportivo della Canottieri Armida. Nel 1889 - sempre nel capoluogo sabaudo - nacque la seconda compagine calcistica italiana, i Nobili, istituita da uno sportivo di rango, il duca degli Abruzzi; due anni più tardi le due squadre cittadine si fusero dando vita all’Internazionale Football Club Torino (da non confondersi con l’omonima squadra di Milano sorta diversi anni dopo), della quale Edoardo Bosio fu fondatore e giocatore (come “striker”). Le cronache riportano la presenza in campo anche di Luigi Amedeo duca degli Abruzzi, Herbert Kilping (che giocherà poi nel A.C. Milan) e, come abbiamo visto, di Carlo Montù. Nasceva poi la Federazione Italiana del Football (F.I.F.), formata da F.C. Torinese, Internazionale, Società Ginnastica Torinese e Genoa, con sede sempre a Torino in Piazza Castello presso A. Jourdan. Diventata Federazione Italiana Gioco Calcio (F.I.G.C.), nel 1914 ne diverrà presidente lo stesso Montù. L'inizio del XX secolo vide Montù affascinato da quello che sarà il settore che 3 più si svilupperà in quel periodo, i trasporti, in particolare le ferrovie e l'aeronautica. Nel 1907, all'Esposizione di Milano, presenta una sua realizzazione inerente "gli accoppiatori automatici per veicoli ferroviari", ma lavora anche come progettista di stazioni; così come si dedica alla costituzione della Società Aviazione Torino, poi divenuta Aeroclub Torino. Alla soglia dei 40 anni l'eclettico Carlo - che aveva aderito al Partito Liberale - ha ormai le carte (ed i titoli) in regola per tentare una nuova avventura, quella politica. Il suo collegio elettorale è Crescentino - uno dei tre di allora, con Santhià e Vercelli, di quella zona inumidita dal Po -, cittadina di nemmeno 8 mila abitanti a forte vocazione contadina, una decina di km da Livorno Ferraris e 30 da Vercelli. Ottiene la fiducia dei votanti e per quattro anni, durante la ventitreesima legislatura dal 24.3.1909 al 29.9.1913, Montù siede alla Camera dei Deputati; ma la Patria, impegnata militarmente oltremare, lo rivuole anche in divisa e lo richiama alle armi. Nel 1911, il quarantaduenne ex-tenentino d'Accademia viene reintegrato stabilmente nell'Esercito Italiano con il grado di capitano d'Artiglieria ed assegnato (durante la guerra con la Turchia) al Regio Corpo di Spedizione in Libia, nel reparto speciale - dati i suoi precedenti - degli Osservatori Aerei e Lanciagranate. Pur se l'industria aeronautica si trovava in Italia allo stato embrionale, nei cieli libici vengono stabiliti autentici primati dalla genialità e dall'inventiva di quei pionieri: Guglielmo Marconi effettuò proprio in Libia il primo esperimento di trasmissione radiofonica da una stazione terrestre a un aeroplano e il capitano Carlo Piazza ed il tenente Giulio Gavotti tentarono, nel marzo 1912, i primi esperimenti al mondo di atterraggio notturno, cosicché - alla vittoriosa conclusione del conflitto italo-turco - i reduci di quelle pattuglie si trovano circondati da una grande popolarità. Anche Montù stabilisce un “primato” mercoledì 31 gennaio 1912 quando - decollato da Tobruk a bordo di un biplano Farman (in legno e tela) per una missione sia ricognitiva che offensiva sulle truppe ottomane di stanza ad Emme Dolner - l'aviatore-artigliere piemontese viene fatto segno da cinque fucilate nemiche sparate da circa 800 metri di distanza: quattro pallottole trapassano elica ed ali, mentre la quinta fora il sedile in alluminio e lo ferisce non gravemente. E' un record al contrario: è infatti la prima volta che da terra qualcuno riesce a colpire con successo un bersaglio aereo in guerra, anche perché l’uso - fatto dall’Italia - dell’aviazione in un conflitto è tra i primi al mondo. La fortunosa schioppettata turca mette momentanea fine (per la seconda volta) alla carriera militare dell'ingegnere torinese; rientrato dopo un mese in Italia, gli viene conferita la Medaglia d'Argento al Valore Militare, promosso maggiore e, il 4 giugno 1912, congedato. Alcune fonti riportano comunque che Montù continuò la carriera in Aviazione fino alla Prima Guerra Mondiale, comandando il 1° Raggruppamento Bombardieri, per poi passare in Artiglieria. Il 7 agosto 1912 la “Gazzetta dello Sport” pubblica un lungo articolo che invita il Governo a rivolgere le sue attenzioni (e sovvenzioni) direttamente alle Federazioni Nazionali. Lo scritto suscita notevole interesse nel mondo 4 sportivo, in particolare nel Rowing Club il quale propone di interessare i deputati che fanno parte delle Federazioni per chiedere direttamente fondi al Governo. L’1 dicembre 1912 la Sezione Lombardo-Emiliana del Rowing Club convoca una riunione tra i rappresentanti delle Federazioni nella sede della potente (15 mila soci) Lega Aerea Nazionale a Milano, la quale aveva tra i suoi consiglieri l’onorevole Carlo Montù. Il consesso – presieduto da un altro famoso dirigente remiero, Igino Pampana, medico e fondatore del Barion di Bari – prepara il terreno ad un congresso delle Federazioni, che si tiene nella stessa sede il 19 gennaio 1913 ed il quale sfocia nella delibera di “richiedere il riconoscimento del Governo per le singole Federazioni e l’aiuto suo tanto materiale, quanto e soprattutto morale”. L'anno successivo, alla scadenza del mandato elettorale, Carlo Montù si ripresenta candidato ma a Crescentino trova, come forte antagonista, il medico condotto Fabrizio Maffi, socialista ed anti-interventista (allora l'Italia aveva dichiarato guerra all’impero ottomano per il possesso di Tripolitania e Cirenaica), già in corsa per la poltrona di deputato nel 1904, quando però venne battuto dal marchese Fracassi poi divenuto senatore del Regno. Il Maffi - la cui professione gli aveva creato molte simpatie tra i braccianti - cavalca il malcontento popolare dovuto all'indifferenza dei grandi proprietari terrieri locali verso operai e salariati, ed acquisisce - nella tornata elettorale del 26 ottobre 1913 - un numero enorme di voti (quasi 6 mila), superando il quasi coetaneo Montù, il quale in quello stesso anno viene eletto per la prima volta alla presidenza (che manterrà fino al 1927) del Regio Rowing Club Italiano, succedendo allo scomparso concittadino Luigi Capuccio, che era stato uno dei fondatori sia della Federazione Italiana che di quella Internazionale del Canottaggio, e che l’anno precedente aveva dovuto annullare la partecipazione dei canottieri italiani ai Giochi Olimpici 1912 di Stoccolma per il caos avvenuto durante le selezioni a Venezia per l’otto, tra la Querini e la Bucintoro. Montù, appena eletto, riesce – nell’agosto 1913 – a comporre la vertenza con la Querini che (dopo la squalifica della Bucintoro all’indomani delle mancate - per abbordaggio e doppio affondamento - selezioni e la cassazione della partecipazione olimpica) aveva trascinato in tribunale il Regio Rowing Club Italiano. Dopo aver assunto la guida del turbolento canottaggio – siccome lo sport è evidentemente presente in modo massiccio nel DNA dell'eclettico piemontese – Montù si prende sulle spalle (nel 1914, per referendum) anche la presidenza della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Non va dimenticato che nei primi Anni Dieci il campionato di calcio vede l'affermazione di squadre piemontesi - la Pro Vercelli dal 1911 al 1913 e nel 1914 del Casale – e la nazionale del pallone da un triennio adotta la maglia azzurra, in onore del colore dei Savoia. Con la presidenza Montù fu confermata la sede federale a Torino, dove lui risiedeva. Nello stesso 1914 Carlo dà la scossa a tutta l’Italia che suda sui campi di gara, proponendo la creazione di un Comitato Olimpico nazionale che diverrà poi nientemeno che il CONI. In realtà “Comitati” ne nascevano in continuazione, le Federazioni Sportive (in prima fila il Rowing Club) erano in 5 continua ebollizione, ma la nascita di un organismo che definitivamente le riunisse tutte sembrava difficile. Personaggio-chiave di quegli anni è un altro “savoiardo”, il marchese Carlo Compans de Brichanteau de Challant, nato a Chambèry nel 1844 e che scomparirà a Torino nel 1925, dopo essere stato – dal 1914 al 1920 – il primo presidente del CONI. Ecco come lo storico Gianfranco Colasante – nel suo libro “La nascita del Movimento Olimpico in Italia” (1996, pag. 208) - ricostruisce quell’avvenimento così importante per lo sport italiano: “ del Comitato Italiano. Dopo i Giochi di Stoccolma, era ricaduto nel consueto letargo. Le divisioni ideologiche tra gli uomini che lo componevano non ne facilitavano il funzionamento. La mancanza di fondi lo paralizzava. Gli impegni del suo presidente, lo tenevano ingessato in una perenne attesa. Compans, pur accreditando il personaggio di un certo interesse per lo sport, non trovava che saltuariamente il tempo di occuparsene. La nascita un po' impetuosa del "Comitato Permanente" l'aveva trovato del tutto impreparato. Sarebbe stato forse opportuno far confluire le due iniziative in un unico alveo, tramite qualche raccordo (Bongrani?) o qualche forma di arbitrato (Brunetta?). E trovare un nuovo presidente, dal momento che Compans non appariva la persona giusta per mediare. Cominciò invece una lotta sorda tra le due istituzioni, fatta di maldicenze e insinuazioni sui giornali (che portarono ad alcune querele, in una delle quali venne coinvolto come testimone lo stesso Compans). Il 1914 era alle porte e si profilavano i Giochi Olimpici di Berlino. L'unica iniziativa di Compans (che non riuniva il Comitato da un anno e mezzo) fu quella di proporre all'ASSI, l'Associazione della Stampa Sportiva, di entrare nel Comitato. Intanto i mesi scorrevano veloci. E qualcuno cominciò a vagheggiare l'arrivo dell'uomo forte che desse la spinta decisiva. Questi venne individuato nel torinese Carlo Montù, un militare che aveva acquistato grande autorità in campo aviatorio e che godeva della stima degli ambienti politico-industriali legati all'aeronautica. Compans, che in materia di politica militare era uno dei più autorevoli esperti del Parlamento (sua era stata la proposta di legge per ridurre a 18 mesi la ferma), conosceva bene le credenziali di Montù e le temeva. Compans ipotizzò un incontro con Montù, che avvertiva come la maggiore personalità emergente del movimento olimpico italiano. Lo apprendiamo da un suo appunto manoscritto (purtroppo senza data) al quale prevedeva di far intervenire anche il giornalista Verona, che a Montù era molto legato e che era stato il promotore dell'intervento degli aviatori in Libia. Gli argomenti da discutere, nell'ordine, sarebbero stati, secondo quanto scrisse: 1. affermare azione continuità del Comitato Nazionale Italiano per le Olimpiadi; regolamento riconosciuto dal Governo. 2. liquidare Federaz. delle Federazioni e partecipare tale fatto a Com. Centr. Olimpico Internazionale. 3. opportunità di scrivere io a Coubertin? Tralasciando l'approssimazione nella nomenclatura, i concetti espressi da Compans erano corretti: nella logica di una continuità, che tutti sembravano 6 concordi nel far risalire al 1908, si ipotizzava un riconoscimento governativo per il Comitato. Sulla sorte del "Comitato Permanente", il marchese aveva le idee ancora più chiare. Non ci è noto se l'incontro ci fu e quali furono le eventuali conclusioni. Gli eventi successivi sembrerebbero escluderlo. In ogni caso la circostanza è importante per introdurre, nel migliore dei modi, il personaggio Carlo Montù che nell'estate del 1914 assommava nella sua persona diverse importanti cariche sportive: membro del CIO (fu nominato a Parigi nel Congresso del decennale), presidente delle Federazioni Canottaggio e Calcio, vice-presidente dell’Aero Club d'Italia, consigliere della Lega Aerea Nazionale, consigliere della Federazione di Scherma della quale era stato uno dei propugnatori. Presiedeva, infine, l’Associazione Aviatori e Aeronautici d'Italia, appena fondata a Torino. Montù fu il primo dirigente, nel senso che riveste oggi questo termine, del movimento olimpico italiano. Il primo ad avere la personalità adatta per muoversi sul palcoscenico internazionale, con una visione lungimirante e moderna. Il 9 e 10 giugno 1914 – in un periodo particolarmente agitato politicamente, con innumerevoli manifestazioni di piazza - si ebbe in un ufficio della Camera dei Deputati e su iniziativa di Montù (che nel 1913 era stato nominato membro del CIO, carica che manterrà fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939) la prima riunione del nascente Comitato Olimpico che pose le basi per una unificazione dello sport nazionale e la rappresentanza italiana presso lo stesso CIO (Comitato Olimpico Internazionale, presieduto dal suo fondatore - nel 1894 - Pierre de Coubertin, ed in procinto di spostarsi da Parigi a Losanna) ad iniziare dal Congresso Olimpico in programma pochi giorni dopo (14/20 giugno 1914) a Parigi. Nella riunione romana (particolarmente affollata ed inizialmente indetta proprio per designare i dieci delegati italiani all’imminente Congresso), Montù era anche presente come presidente di ben tre Federazioni Sportive - Calcio, Canottaggio (della quale c'era pure Alberto Mario Rossi, futuro segretario del R.R.C.I.) e Aereo - nonché in rappresentanza dell'Automobilismo. Da quel consesso in cui nacque il CONI, Montù uscì con la carica di vicepresidente del nuovo organismo olimpico ed ovviamente (essendo già membro del CIO) come uno dei delegati al Congresso di Parigi; ma anche quale ospitante la prima sede del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (che nel 1915 venne riconosciuto dal CIO), stabilita a Roma in Via della Colonna Antonina 52, nei locali dell'Aero Club presieduto appunto dal quarantacinquenne piemontese. Il futuro dell'ex-allievo di Galileo Ferraris si sta però ancora una volta tingendo di grigioverde: il 10 dicembre 1914 è richiamato in servizio dall'Esercito ed assegnato, tre mesi dopo, al Battaglione Scuola Aviatori. Oltre alla precedente esperienza bellica in Libia, in quegli anni Carlo ha infatti assunto pure un altro incarico, che lo lega ancor più ad ali ed eliche: è nominato vicepresidente e poi presidente (dal 1914) della Società Aviatori e Aeronauti dell'Aria (fondata nel 1911, con sede a Torino e poi divenuto Aero Club d'Italia), la quale proprio con lui confermerà la devozione di chi vola alla Madonna di Loreto, ornando la 7 bandiera della stessa Società con l'immagine della Vergine Lauretana. Diviene anche membro del Consiglio Direttivo della Lega Aerea Nazionale e del Comitato Direttivo della Fédération Aéronautique Internazionale, mentre quale presidente dell’Aereo Club d’Italia assegna al barone padovano Leonino Da Zara la coppa destinata dalla stampa sportiva all’aviatore che avesse effettuato - entro il 31 dicembre 1910 - il maggior numero di voli (il nobile veneto ne aveva compiuti in quell’epoca pionieristica ben 26, rimanendo in aria per 5 ore e 4 minuti). Sicuramente nello stesso periodo Montù incontra un altro grande appassionato dell’aria (e poi del canottaggio, tanto da mettere in palio una stupenda coppa, conservata in un altrettanto magnifica custodia in pelle), Gabriele d’Annunzio, che di Leonino Da Zara è grande amico. Nella primavera del 1915 l’Italia si prepara a partecipare ad uno dei conflitti più tragici e sanguinosi dell’umanità: la Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra. Montù, militare e sportivo, non disgiunge la divisa grigioverde di ufficiale dal doppiopetto di alto dirigente federale: il giorno stesso che l’Italia dichiara guerra all'Austria-Ungheria - il 23 maggio 1915, una domenica – gli arbitri del pallone comunicano il rinvio delle partite, secondo una decisione presa dalla Federcalcio, presieduta dall’interventista Carlo, subito seguita dalla stampa sportiva che enfatizza l’inizio delle ostilità contro “l’austriaco invasor”. All'alba del 24 maggio il Regio Esercito spara la prima salva di cannone contro le postazioni nemiche e Montù prosegue a servire la Patria e lo sport. Ma non è il solo, tanto che quel giorno La Gazzetta dello Sport esce con un titolo a tutta pagina: “Per l’Italia contro l’Austria Hip Hip Hurrà”. Persino De Coubertin si arruola volontario tra le truppe francesi, ma – cinquantaduenne – venne immediatamente congedato; il barone ne approfitta per trasferire al sicuro, nel 1915, il CIO a Losanna, nella neutrale Svizzera. Il 30 ottobre 1916, dopo essere stato promosso tenente colonnello, gli è assegnato il comando del 30° Reggimento Artiglieria da Campagna (Bombardieri) alla cui testa rimane fino al 15 gennaio 1918, quando - elevato al grado di colonnello - è trasferito in Francia, per tornare sul fronte italiano il 10 giugno, stavolta comandante del 45° Reggimento (sempre Artiglieria da Campagna). Nel frattempo, mentre i contendenti si leccano le ferite, De Coubertin pensa sempre ad un’Olimpiade a Roma, già negatagli dieci anni prima dal governo Giolitti, indaffarato in altre questioni; scrive perciò a Montù al quale il savoiardo naturalizzato torinese on. Carlo Compans di Brichanteau (eletto presidente nella celebre riunione costitutiva del giugno 1914 a Roma) aveva nel frattempo affidato la reggenza effettiva del CONI. Secondo il barone francese, che esprime i suoi pensieri in una lettera riservatissima all’on. Montù, la martoriata Anversa non gliela farà a sopportare sul suo territorio dilaniato dalla guerra i Giochi 1920: che ne dice Roma di sostituirla? Sull’onda dei successi italiani alle Olimpiadi Militari di Joinville piemontese invia, negli ultimi giorni del 1918, una circolare – in qualità di vicepresidente anziano del CONI – a tutte le Federazioni Sportive per sondare evidentemente il terreno in proposito. Ma a troncare sul nascere ogni ulteriore iniziativa sui Giochi a Roma è il governo: il bilancio statale, dopo il 8 dissanguamento della appena conclusa Grande Guerra, è in condizioni precarie, impossibile accettare perciò la pur ufficiosa proposta di De Coubertin-Montù. Per quest’ultimo si chiude anche l’ennesima parentesi bellica. Dopo la decorazione ricevuta nel 1912, Montù - capelli a spazzola alla militare e baffi ben curati - alla fine della Prima Guerra Mondiale avrà appuntate sul petto ben altre quattro medaglie, due d’argento ed altrettante di bronzo; quella del 1916 (argento) ha la seguente motivazione: "Comandante di un raggruppamento di bombarde, diede costanti prove di valore personale e sprezzo sotto l'intenso fuoco nemico, per imprimere all'azione delle dipendenti batterie il massimo vigore e per compiere studi e progetti per l'impianto di nuove batterie (Medio Isonzo, agosto - dicembre 1916)". Insignito di altre decorazioni, terminata la Grande Guerra, Montù raggiunge il grado di generale e viene nominato commissario civile per la regione di Cividale del Friuli che - dopo la disfatta di Caporetto alla fine dell’ottobre 1917 - era stata occupata per breve tempo dalle truppe austriache. Instancabile, il militar-sportivo dai natali vercellesi, appena deposta (provvisoriamente, s’intende, perché ormai il grigioverde è per lui una seconda pelle) la divisa nella cassapanca, ritorna a piste, campi di regata e pedane. Il 3 agosto 1919 Montù – che abitava a Torino in Via Po 39 - diviene presidente della Federazione Italiana Scherma, nelle cui file c’è un formidabile atleta, l’imbattibile D’Artagnan azzurro Nedo Nadi che l’anno dopo ad Anversa vince cinque medaglie d’oro ai Giochi Olimpici, stoppati al 1912 e ripresi solo nel 1920 a causa di un conflitto (la Prima Guerra Mondiale) che ha provocato 8 milioni e mezzo di morti e 20 milioni di feriti. Accanto a Nedo combatte – pacificamente sulle pedane olimpiche – suo fratello Aldo, il quale conquista in quell’avventura belga tre medaglie d’oro ed una d’argento. All’indomani di quell’Olimpiade così prestigiosa per le Federazioni da lui guidate – anche i canottieri italiani salgono infatti due volte sul podio, per essere premiati da re Alberto del Belgio con l’oro del 2 con e l’argento del doppio – Montù deve però incassare una pesante sconfitta da dirigente, non riuscendo a trattenere in Italia Nedo Nadi, che se ne va in Argentina a fare il maestro, rinunciando allo status dilettantistico e alla maglia azzurra. In quell’anno 1920 l’instancabile torinese diventa però anche, per acclamazione, presidente del CONI (Compans di Brichanteau è nominato presidente emerito), adoperandosi subito per la migliore partecipazione della rappresentativa italiana ai Giochi Olimpici di Anversa. Montù riuscì, per quell’edizione olimpica post-bellica, a realizzare due “miracoli”: il primo che le spese della spedizione fossero totalmente ripianate grazie ad un contributo statale, una sottoscrizione lanciata da “La Gazzetta dello Sport”, una somma messa a disposizione dalla Federazione Calcio ed altre donate da enti e industriali (tra i quali Giovanni Agnelli, il fondatore della FIAT); il secondo la definitiva adozione della maglia azzurra (ed una medesima uniforme) per tutti i nostri atleti (174 uomini e 1 donna) partecipanti. 9 Inoltre ad Anversa viene realizzata la prima Casa Italia, un’iniziativa voluta da Montù e ripresa poi stabilmente dal CONI nella seconda metà del 1900. Il neo capo del CONI svolge durante i Giochi un’intensa attività “diplomaticosportiva” (sulla quale poi relazionerà al presidente del Consiglio Giovanni Giolitti) punteggiata da due conferenze in francese, l’8 agosto con tema “Pro Italia” ed il 24 agosto sulla “Candidatura di Roma alle Olimpiadi del 1924”; ma sarà proprio quel De Coubertin - che tanto aveva caldeggiato i Giochi nella Città Eterna nel 1909 e 1920 - a stoppare l’iniziativa di Montù, e a far ratificare, nel Congresso di Losanna 1921, l’assegnazione della competizione olimpica a Parigi, dopo aver contattato in proposito, per lettera, tutti i Comitati Olimpici Nazionali. Dimessosi da presidente del CONI nel 1921 dopo il burrascoso Congresso del CIO di Losanna (fu sostituito dall'ingegner Francesco Mauro, che era stato suo vicepresidente nel Calcio), Montù mantenne fino al dicembre 1923 la presidenza della Federazione Scherma (cui era stato eletto nei 1919) e fino al 1927 quella del Canottaggio (che aveva ricoperto sin dal 1913). Quella del Calcio (della quale era stato eletto presidente nel marzo 1914 e che aveva lasciato nel febbraio 1915 per contrasti con il segretario Scamoni), l'aveva ripresa solo per pochi mesi durante il 1919 vice-presidente della Fédération Aéronatique Internationale, aveva partecipato alla riunione costitutiva dell'Ufficio Permanente delle Federazioni Internazionali, quale unico dirigente italiano presente. A seguito di tale assegnazione - come afferma, nel suo libro “Il CONI di Giulio Onesti”, lo storico sportivo Tonino De Juliis - fermamente la candidatura di Roma - e la delegazione italiana abbandonarono per protesta il Congresso Olimpico di Losanna.” “Montù si dimise anche dal CONI e alla presidenza fu chiamato l'on. Francesco Mauro, il quale era già stato il successore di Montù nella carica di presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio. Due anni dopo l'increscioso episodio di Losanna, Montù, che non era più presidente del CONI ma sempre membro del CIO, ricevette da un collega brasiliano un significativo attestato a favore di Roma "olimpica". Nel 1923, per la prima volta, una sessione del CIO fu celebrata a Roma. Nella seduta conclusiva, svoltasi il 12 aprile nella sala delle bandiere al Campidoglio, un simpatico gesto verso il CONI e la città capitolina fu compiuto dal membro del CIO per il Brasile conte R. de Rio Branco. Discutendosi della possibilità di assegnare a Rio de Janeiro i Giochi olimpici del 1936 - essendo già previsti a Parigi quelli del 1924 ed assegnati ad Amsterdam e a Los Angeles rispettivamente quelli del 1928 e del 1932 - il brasiliano de Rio Branco, che era stato cooptato nel CIO nel 1913 come Carlo Montù, tenne a dichiarare che, prima dell'America del Sud, Roma dovesse avere l'onore dei Giochi Olimpici. Ma allora non fu presa una decisione e l'Italia in seguito rinunciò ad avanzare la candidatura per i Giochi del 1936 (a favore della Germania) e ritirò quella per i Giochi del 1940 (a favore del Giappone). 10 “ (opera citata) - “ che si tenne a Losanna, nel Casinò di Montbenon che aveva ospitato durante il conflitto gli uffici del Comitato. I lavori, presieduti da Sigfrid Edstròm (primo presidente della IAAF), si tennero dal 2 al 7 giugno 1921 con l'intervento di 78 congressisti in rappresentanza di 23 paesi. Ventitrè erano i membri del CIO, tra i quali figurava anche Montù. L'argomento principale era costituito dalla revisione dei regolamenti olimpici e dei criteri di ammissione ai Giochi. In discussione anche la creazione dei Giochi d'inverno e l'assegnazione delle Olimpiadi del 1924. La scelta di Parigi quale città destinata ad ospitare l'ottava Olimpiade fu violentemente osteggiata da Montù, che aveva proposto di nuovo la candidatura di Roma (una candidatura sulla quale non si è mai indagato a fondo). Prima che il Congresso iniziasse i suoi lavori, de Coubertin aveva fatto pervenire ai membri del CIO una circolare nella quale chiedeva di accettare "che Parigi ed Amsterdam fossero scelte rispettivamente per i Giochi della ottava e della nona olimpiade". Per Roma, la cui candidatura secondo il CIO non era sostenuta da alcuna garanzia ufficiale, il Comitato internazionale temeva la ripetizione di quanto accaduto nel 1908. Anche Los Angeles era tra le candidate, ma le gravose spese di viaggio, sproporzionate alle possibilità degli europei, bastavano ad escluderla. Montù si oppose in modo violento e plateale alla proposta di de Coubertin che riteneva precostituita. I risultati, comunque, dettero ragione al barone: la proposta passò con 14 voti favorevoli, 4 contrari ed un astenuto. Montù, inscenando una vera gazzarra, pretese la ripetizione delle validità delle stesse fu contestata una seconda ed una terza volta, ma le due ripetizioni dettero sempre lo stesso risultato (de Coubertin non votò). Nel corso della nottata la delegazione italiana lasciò Losanna per protesta contro quella che, secondo l'ammissione dello stesso de Coubertin, sarebbe stata "una manovra poco chiara". Il CIO, per sdrammatizzare, ha costretto a rendere pubblica una imbarazzata relazione. Stupisce che quest'episodio, come tantissimi altri della storia olimpica italiana, sia stato sepolto nella memoria collettiva (e ignorato dalle varie storie proposte). Come se, più che dimenticanze, fossero intervenute accurate censure. La pace tra Montù ed il CIO fu siglata due anni più tardi, quando Montù richiese per Roma l'organizzazione della 22. Sessione. Ed a sottolineare la volontà di pacificazione, la richiesta precisava che le riunioni si sarebbero tenute "durante la Pasqua del 1923". De Coubertin, che avrebbe voluto portare a Roma la Sessione già nel 1917, fu subito d'accordo. I lavori vennero ospitati in Campidoglio, dal 7 al 12 aprile del 1923, in pieno periodo pasquale. Sindaco di Roma era allora Filippo Cremonesi. La cerimonia d'apertura si tenne con molta solennità alla presenza di Vittorio Emanuele. L'obiettivo principale dei lavori fu la "diffusione dello sport in Africa" (che portò alla nascita degli African Games). I membri del CIO, che per la prima volta si riunivano in Italia, vennero accolti con sontuosa ospitalità al Quirinale e 11 ricevuti in Vaticano da Pio XI che espresse "rinnovate assicurazioni di cortese simpatia per l'Olimpismo". Montù partecipò con grande impegno ai lavori nella commissione per il "mancato guadagno". Sarebbe stato quello il suo ultimo incarico nello sport internazionale e lo sapeva. Nel giorno conclusivo della Sessione, in un altro palazzo della città veniva nominato alla presidenza del CONI sottosegretario all'interno. Con la sua nomina iniziava il controllo del Partito Fascista sullo sport italiano. Successivamente (come riporta ancora De Juliis nel suo libro) riteneva il fascismo contrario ai suoi principi liberali, nel 1927 Montù lasciò l'ultima carica sportiva, dimettendosi da presidente della Federazione Italiana Canottaggio, che era la Federazione prediletta. Si ritirò nella sua Bellagio e si dedicò alla elaborazione di una ponderosa ed apprezzatissima "Storia dell'artiglieria italiana" in quattordici volumi, nella quale profuse l'eccezionale cultura e competenza tecnica. Un fatto sorprendente, che meriterebbe di essere approfondito, è quello che nel 1925, a seguito delle forzate dimissioni date il 18 giugno 1924 da Aldo Finzi caduto in disgrazia a causa del delitto Matteotti, si determinò una corrente favorevole alla rielezione di Montù a presidente del CONI. La cosa non fu poi tanto segreta se lo stesso direttore de "La Gazzetta dello Sport", Emilio Colombo, ne parlava nel suo articolo pubblicato il 7 dicembre 1925 sulla elezione, avvenuta il giorno prima con 20 voti su 22, di Lando Ferretti, definito "un condottiero gradito al Capo di Governo Nazionale" (cioè a Mussolini). Comunque quel Consiglio Nazionale del CONI, che elesse Ferretti, non mancò di inviare un telegramma di saluto anche a Carlo Montù” Oltre allo sport, nel cuore dell’instancabile piemontese ci sono sempre anche i cannoni. Così diventa direttore del Comitato di Redazione (nonché coautore) di una monumentale (14 volumi) ed apprezzata dal Rinascimento alla Prima Guerra Mondiale, profondendovi notevole cultura e rara competenza tecnica. In una memoria lasciata da Montù si parla pure di cavalli. La Scuola di Equitazione (creata da Carlo Felice nel 1823 alla Venaria Reale) fu trasferita - sempre in provincia di Torino - a Pinerolo nel 1849, con il nuovo nome di Scuola di Cavalleria, dall’allora ministro della Guerra Alfonso La Marmora nell’ambito della riorganizzazione dell’Esercito dopo l’abdicazione di Carlo Alberto e la salita al trono di Vittorio Emanuele II. Secondo Montù, la scelta cadde su Pinerolo la salubrità delle terre e al fine di aumentare la distanza da Torino che, specialmente per la gioventù, costituiva un centro di attrazione pericoloso” Nel 1926 la Reale Federazione Italiana di Canottaggio istituisce un magnifico trofeo in argento massiccio (opera dello scultore Monti ed ancora oggi presente nella sede della Federcanottaggio a Roma) dedicato al suo presidente – la Coppa Carlo Montù – per premiare la Società affiliata che nell’anno ha svolta la maggiore attività remiera, con la partecipazione al maggior numero di regate. La Coppa viene tutt’ora assegnata. 12 Dopo l'emanazione della 1928), Montù si mise da parte (secondo alcuni, "venne messo" da parte perché massone) e si ritirò in un volontario esilio sul lago di Como. L'ultimo incarico pubblico che ricoprì fu quello di amministratore del Politecnico di Torino (1924/1928). Mantenne soltanto la qualifica di membro del CIO, che abbandonò solo nel 1939. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, Montù ritorna ad indossare i panni grigioverdi di Generale di Divisione: dall’1 aprile 1943 è (senza assegni ma con incarichi speciali) al Ministero della Guerra di Via XX Settembre a Roma. Il 4 giugno 1944 le truppe della V Armata USA, comandate dal generale Mark Wayne Clark, liberano Roma; nemmeno tre settimane dopo, il 22 giugno, il trentaduenne avvocato Giulio Onesti (torinese e canottiere come Montù) viene nominato - dal governo Bonomi (insediatosi da appena quattro giorni) – reggente del CONI, con l’incarico di liquidare l’ente olimpico. Onesti non pensa affatto di far fuori la “creatura” quasi sua coetanea e, promosso commissario straordinario in ottobre, riesce a convincere Ivanoe Bonomi (anche lui avvocato) a far vivere l’ente. Intanto, appena il conflitto finisce, c’è un’altra chiamata per Montù, quella della Federazione mai dimenticata, il Canottaggio, che lo sollecita a riordinarne le fila; Carlo ne riassume nel 1946 la presidenza ed il 27 luglio dello stesso anno partecipa a Milano alla storica seduta nella quale vengono ricostituiti gli organi del CONI, alla cui guida è saldamente il piemontese Onesti: in quella occasione il settantasettenne dirigente torinese prende la parola per raccomandare – da indomabile militare – la difesa dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ente olimpico italiano. L’anno successivo, finalmente, l’Esercito concede a Montù il definitivo “rompete le righe” ed il 10 gennaio 1947 lo pone a riposo: dal suo ingresso nell’Accademia Militare sono passati 61 anni, una vita al servizio della Patria. Ceduta l’ultima presidenza (quella della Federazione Italiana Canottaggio che lo acclama socio onorario) il 20 marzo 1949 a Firenze ed avendo esultato in agosto per gli stupendi risultati dei vogatori azzurri agli Europei in Olanda, esattamente sette mesi dopo aver ceduto lo scettro della FIC, giovedì 20 ottobre 1949, il grande dirigente piemontese – assistito dalla moglie signora Letizia e dai figli - scompare a Bellagio (sul Lago di Como) nella sua Villa Belmonte, probabilmente costruita da un cittadino britannico ed acquistata e ristrutturata dalla famiglia Montù nel 1881. Nel 1998 nelle soffitte della Villa, che è costeggiata da Via Montù, viene ritrovata – dall’ingegner Franco Castelli, attuale proprietario – una lettera di Pierre de Coubertin indirizzata mio caro amico e collega Carlo Montù dedico queste pagine scitte per il suo bel Paese” rivista “Il Canottaggio” dell’anno 1999. Nell’estate del 1952, a suo ricordo, venne inaugurata a Torino una stele all’inizio del Parco del Valentino, sulla quale è scritto: 1896-1949. Generale d'artiglieria e storico dell'arma. Deputato al Parlamento. Pioniere dell'aviazione. Elettrotecnico insigne. Fondatore del CONI. Animatore
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